martes, 9 de febrero de 2010

Herejía y Superstición



El Desarrollo del pensamiento de Darwin

Entre Herejía y Superstición*[1]

Belisario Ciro Montoya

Muchos descubrimientos científicos han iniciado como herejías y han terminado como superstición. Es el caso también de El origen de las especies de Darwin, que ha partido hallando la oposición de prejuicios y mordaces ataques arribando hoy a una aceptación casi ciega y acrítica. Darwin, en efecto, no descubrió una teoría nueva (ya propuesta por Anaximandro de Mileto VII-VI siglo a.C, Buffon, Lamarck, Erasmus...), sin embargo propuso los mecanismos por los cuales se verificaba dicha evolución: a través de una selección natural de carácter gradual y por mutaciones causales. Pero nuestro problema es el siguiente: ¿es la teoría sintética de la evolución (o el llamado neodarwinismo), suficientemente documentada y comprobada en sus presupuestos de ser considerada y divulgada como un hecho científico?

La “evolución”, en efecto, es aceptada y enseñada casi como un dogma en muchos entes educativos del mundo entero, pero desafortunadamente en ninguno viene desarrollada en manera amplia la parte contestataria sobre los mecanismos y las premisas que presupone la teoría de la evolución, siendo negada a los estudiantes la posibilidad de crítica. Existe un uso viciado del lenguaje que la presenta como un hecho científicamente demostrado y verificado en su totalidad, cosa que efectivamente no es verdad. El lenguaje impreciso y rarificado que se utiliza en su presentación, induce a los estudiantes a considerar como verdaderos unos postulados científicos que en realidad están privados todavía de la adecuada comprobación que requiere la rigurosidad de la ciencia.

Los grandes principios de la “teoría de la evolución” darwiniana deben venir, por tanto, revisados a la luz del lenguaje y los conceptos que los descubrimientos actuales de biología molecular, de microbiología, de la genética y de los grandes avances que en taxonomía se han dado a luz. De otro modo caerá en un tipo de reduccionismo dogmatico de la ciencia, forzado por una forma de neosíntesis, que pretende encontrar en el « DNA » la explicación y la regla o medida válida para toda la naturaleza.

En conclusión, no debe olvidarse el aspecto esencialmente especulativo de la ciencia, a la cual no compete mantener entre sus postulados unas certezas (dogma), sino un uso constante de la observación y de la razón, teniendo conciencia de lo provisionales o abiertos que son de por sí todos los resultados alcanzados. La ciencia « comete suicidio » justamente cuando adopta o se encierra en un credo.


* * Este es un resumen al articulo de: B. Isolani, P. Manachini, «Lo sviluppo del pensiero de Darwin tra eresia e superstizione», Le scienze (Aprile 1995), 44-54.

lunes, 8 de febrero de 2010

Consulenza Filosofica




La nascita di tutte le arti e di tutte le scienze ha sempre a che vedere con una necessità dell’uomo, cioè con un bisogno particolare a cui ciascuna di esse rende risposta. Dalla fisica alla matematica, dalla meccanica alla scultura, dall’astrologia alla medicina, e cosi via, vediamo come tutte agiscono in un campo specifico (e ogni tanto più specializzato) cercando di mettere a disposizione d’ognuno gli strumenti, le conoscenze oppure le indicazioni per fronteggiare con più agevolezza e facilità i problemi. Cosi pure nel caso delle scienze cosiddette dello spirito. Ne possiamo essere convinti, perché ogni scienza non fa altro che corrispondere a una vera e propria necessità dell’uomo nelle diverse dimensioni della sua natura, sia ciò nel rapporto con se stesso, con gli altri, col mondo, con Dio, ecc. Ma nonostante tutte siano di fatto divergenti non solo nell’oggetto, ma anche nel metodo e pure nelle direttive più pratiche, tutte si intrecciano o trovano il loro punto d’incontro nell’unico soggetto conoscente (oppure conosciuto) e fine del conoscere: cioè l’uomo. Quindi è nella composizione stessa dell’uomo che si può impostare tutto l’edificio del sapere, tutto l’insieme delle arti, delle scienze e dei mestieri.

Allora, qual è il posto che in questo insieme può pretendere la “consulenza filosofica”? È possibile veramente far si che essa diventi anche una disciplina o scienza nel corpo della filosofia ed è questa la sua pretesa? Oppure è probabile che riesca ad avere il carattere di un mestiere o professione in tutto il senso della parola, venendo cosi riconosciuta come tutte le altre professioni? Sono queste domande che ancora oggi non sono state risolte.

Da quando Achenbach nel 1981 ha intrapreso quest’impresa di far la filosofia più vicina alle persone, cioè cercando di mostrare come la filosofia può fungere da aiuto e di luce nelle dimensioni più pratiche della vita, sono stati anche molti e in diverse nazioni a svegliare o rivelare questo compito che la filosofia aveva dimenticato oppure trascurato.

Sebbene, sembrerebbe che la Consulenza filosofica strappa il suo campo di azione ad un’altra disciplina come la psicoterapia, a mio parere il più grande problema si presenta nella non uniformità nei criteri con cui se ne parla o pratica dai consulenti filosofici in tutto il mondo. In questo stato è difficile per una disciplina oppure per ciò che pretenda di esserlo trovare uno spazio nell’insieme del sapere e dell’agire su cui poggiare le sue fondamenta. È indispensabile perciò determinare chiaramente innanzitutto quale siano l’oggetto, il metodo e la finalità proprie e nuove di questa disciplina. Altrimenti non ci si può sperare tanto da essa. Quindi resta ancora da fare un grande lavoro se si vuole veramente portare la filosofia il più vicino possibile alla vita delle persone, e farne comprendere cosi la sua natura intrinsecamente comune a tutti gli uomini, e quindi il suo potente e persuasivo raggio d’azione.

Perché infatti, non c’è forse una più evidente e lacerante necessità di quella che ha ogni uomo di avere una luce davanti alle domande sul motivo o fine delle cose e degli avvenimenti, sul senso della vita e del mondo.

Pertanto, il compito di un consulente filosofico non è qualcosa tuttavia che possa essere svolto da uno qualsiasi. Resta la esigenza di competenza e rettitudine, comuni a tutti i mestieri, ma che però in questo caso n’è cosi determinante e indispensabile. Non si tratta quindi di fare il sofista (nel senso negativo del termine), ma come Socrate mettere a disposizione di tutti le proprie capacità in questo campo per fargli dare alla luce i germi di verità che annidano nella loro vita.


Por: Belisario Ciro Montoya